L’intervista / Come può una Diocesi rendere chiara ed efficace la sua presenza nel digitale

Parola di Vita n. 8 (330) del 9 marzo 2017

Sul n° 8 (9 Marzo 2017) del settimanale di informazione dell’Arcidiocesi Cosenza-Bisignano si parla del libro “Chiesa Mediale”, di Pastorale digitale e della ricerca “Diocesi italiane e social network”Ecco l’intervista della giornalista Angela Altomare che troverete alle pagine 12 e 13 del giornale.

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1) Com’è nata l’idea di questo libro?

“La Chiesa Mediale” è il frutto della mia tesi di Licenza in Teologia pastorale della Comunicazione presso la Pontificia Università Lateranense. “Il dopo” di quella tesi, dal titolo “L’Ufficio diocesano per le comunicazioni nello scenario digitale”, è questo libro, un media che mi sta permettendo di condividere con tutti alcuni contenuti del mio lavoro.

2) Perché hai sentito la necessità di mappare la presenza delle diocesi sui social?

La mia tesi di Licenza evidenzia quanto oggi sia necessaria, anche per la Chiesa, la presenza digitale e la comunicazione nei e con i social network. Tale presenza va costruita, coordinata e progettata dall’Ufficio diocesano per le comunicazioniNel cercare materiale per la mia Tesi (fine 2015, primi 2016) mi sono chiesto: ma in Italia quante e quali diocesi reputano necessario per la loro comunicazione lo scenario digitale? Mi sono messo, quindi, subito alla ricerca dei vari profili istituzionali nei tre principali social network (Facebook, Twitter, Instagram) elaborando così questa prima mappa che mi ha permesso di toccare con mano lo scenario digitale della Chiesa italiana.

3) Quali sono stati i risultati che sono venuti fuori da questa ricerca?

La mia ricerca ha tenuto conto solo dei profili istituzionali. Nei social network sono convinto (la dinamica social lo richiede) che per comunicare efficacemente occorre mostrarsi con la propria “faccia”. Diocesi, parrocchie, organizzazioni collettive nell’aprirsi ai social devono farlo come istituzione e non attraverso un proprio media (giornale, radio, tv, etc.). Osservando un po’ i profili delle diocesi ho notato come la maggior parte utilizza ancora i social a mo’ di bacheche su cui appendere avvisi, notizie o link del proprio sito diocesano. I social network spesso sono amplificatori dei contenuti del sito web. Mancano le pratiche social (contenuti con logiche digitali creati appositamente per trasmettere significati). Altre diocesi invece hanno scelto di aprirsi a Facebook non come istituzione ma attraverso il proprio giornale perché il fine ancora è proprio quello di usare i social per trasmettere notizie. Ci sono però alcune chiese che hanno già colto come opportunità la comunicazione digitale attivando iniziative di “pastorale digitale”. Poche ma buone.

4) C’è differenza tra la presenza sui social delle diocesi del nord e quelle del sud?

Sembra che al Sud ci siano più diocesi ad avere una presenza digitale. In particolare Sicilia e Lazio sono le regioni ecclesiastiche ad avere più diocesi sui social network.

5) Quali sono le piattaforme maggiormente usate dalle diocesi? E perché?

Ovviamente, Facebook. E’ grazie a Facebook che il Web è diventato un reale (e non più virtuale) scenario di interazione e condivisione. Il 55% delle Diocesi ha scelto di rendersi presente sul social blu. Segue Twitter con il 35% e Instagram con il 5%. Perché ho cercato soltanto in questi tre social? Perché sono gli unici, sino ad ora, che ci permettono di creare dinamiche comunitarie e di gestire la propria identità sociale. C’è una buona presenza di diocesi anche su Youtube (90 diocesi); tale piattaforma più che un social network è un aggregatore di contenuti social.

6) Quali sono le diocesi italiane più attive sui social?

Tra le 68 che ho analizzato circa una decina sono attivamente presenti sui social. Credo sia opportuno precisare cosa significa essere attivi sui social. Non è una questione di quantità di contenuti condivisi (le dinamiche di Facebook per esempio vogliono che siano condivisi non più di tre post al giorno) ma di progettazione della condivisione. Nel mio libro “La Chiesa mediale” mi piace ricordare che sui social «siamo di fronte a un’azione che richiede competenza, strategia e non improvvisazione; non basta, infatti, aprire una pagina Facebook e riempirla di link, bisogna prima progettare il cosa, il come e il perché della comunicazione. È uno sforzo teologico-pastorale che ogni Ufficio diocesano per le comunicazioni deve incominciare a fare per far sì che nella comunità ecclesiale ci sia un’unica azione comunicativa». Per il momento credo sia l’Arcidiocesi di Milano ad aver attivato una presenza progettata, probabilmente perché si sta preparando alla visita pastorale del Santo Padre. La diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, invece, sta mostrando grande fiducia verso lo scenario digitale, in particolare riguardo i social network.

7) E tra quelle calabresi? Ci sono delle caratteristiche particolari che sono emerse dal tuo studio?

La regione ecclesiastica della Calabria ha ben 5 diocesi presenti su Facebook: Lamezia Terme (con un profilo dell’ufficio diocesano comunicazioni), Rossano-Cariati, Reggio Calabria-Bova, Oppido-Mamertina-Palmi, Eparchia di Lungro degli Italo-Albanesi) e due diocesi anche su Twitter (Mileto e Oppido). La diocesi di Oppido-Mamertina-Palmi su Facebook normalmente condivide link informativi dal proprio sito web e foto su eventi pastorali e su Twitter quasi ogni giorno produce almeno un tweet. Alla stessa maniera l’Arcidiocesi di Reggio Calabria (anch’essa su FB e TW). Rossano-Cariati su Facebook, invece, condivide molti contenuti visuali (foto soprattutto). L’algoritmo di Facebook, infatti, predilige i content visual e sembra che questa diocesi abbia compreso tale dinamica.

8) In che modo e per quali scopi le diocesi italiane e calabresi utilizzano i nuovi mezzi?

In ambito ecclesiale «i social network, più che occasioni e promotori di comunione, continuano a essere concepiti come dei microfoni per amplificare i classici avvisi da bacheca. Tuttavia, nonostante alcune resistenze, nello scenario ecclesiale italiano esistono già diverse iniziative pastorali che tengono conto dei social media, azioni pastorali che vengono spesso definite “digitali”.

9) Quali sono le potenzialità ( sfruttate o sottovalutate) di questi nuovi mezzi per le diocesi?

Innanzitutto le diocesi e le parrocchie se vogliono rendersi presenti su Facebook lo devono fare aprendo una fanpage e non profili o gruppi. I principali vantaggi della Pagina sono: 1) la possibilità di un pubblico illimitato, 2) una gestione multipla, 3) attivare campagne ADV e, soprattutto, 4) analizzare e monitorare la propria comunicazione con Facebook Insights. Per comunicare efficacemente bisogna saper cogliere anche queste potenzialità strumentali. Purtroppo spesso la presenza sui social avviene sottovalutando queste dinamiche. Dunque, per rendere social la propria realtà ecclesiale non occorre fermarsi solo alla creazione della pagina e riempirla di contenuti. Occorre innanzitutto costruire una comunicazione coerente con la mission del Vangelo e con l’immagine della diocesi o della parrocchia; comprendere le dinamiche comunicative dei media digitali che sono completamente diverse da quelle dei giornali cartacei, della radio o della tv; praticare e utilizzare il linguaggio dei social media, un linguaggio che preferisce contenuti visuali, la chiarezza e il coinvolgimento, la correttezza e la bellezza; infine prendersi cura della propria pagina ogni giorno.

10) Per molto tempo la comunicazione è stata considerata la “Cenerentola” delle azioni pastorali. Solo da qualche decennio si è puntato di più su questo settore. Accade lo stesso per i social? Che percezione hanno le diocesi di questi nuovi strumenti?

Credo sia evidente dalla ricerca che pur non essendo aggiornata, dice chiaramente che i social network continuiamo a sentirli come un qualcosa di non necessario per la comunicazione, molte diocesi infatti sono assenti nello scenario digitale; i social continuano ad essere intesi come “mezzi” da utilizzare per trasmettere notizie, intese come una sorta di bacheca su cui appendere avvisi e informazioni. La comunicazione in generale continua a essere concepita come un qualcosa di funzionale da relegare agli addetti ai lavori. La Chiesa fa comunicazione perché è Essa stessa comunicazione. Praticare la comunicazione è un vero e proprio ministero. Ricordiamoci sempre che l’unica giornata mondiale che il Vaticano II ha voluto istituire fu quella delle comunicazioni sociali, che in Italia l’unico ufficio ad avere un direttorio che ne definisce le funzioni e le competenze è quello per le comunicazioni sociali. La svolta consiste nell’assumere una visione teologica-pastorale della comunicazione che tenga conto dello scenario digitale, spesso però c’è una tendenza a concepire l’azione comunicazione della Chiesa come un qualcosa simile all’informazione giornalistica. Alcune dinamiche sono le stesse ma non possiamo strutturare una comunicazione ecclesiale unicamente con la logica giornalistica.

11) I social possono essere un valido strumento per evangelizzare, così come lo sono stati i mezzi tradizionali( stampa, tv, radio) in passato?

Sono convinto che sono i social media che ci permettono di evangelizzare e non i mass media, questi semmai possono solo trasmettere efficacemente i contenuti. I social sono vere occasioni per attivare reali processi pastorali perché quanto entri nello scenario digitale ti stai connettendo con persone che pur non essendo fisicamente presenti lo sono realmente in maniera digitale. Con il mio libro “La Chiesa Mediale” desidero evidenziare che i social network offrono alla Chiesa possibilità di compiere azioni mediali – cioè attivare relazioni reali con persone, creare preziose occasioni per testimoniare la buona notizia, abitare ampi scenari in cui esprimere la bellezza della fede.

12) Perché la Chiesa non può rinunciare alla sua dimensione digitale?

Perché la Chiesa deve rendersi sempre presente laddove c’è l’uomo. Lo scenario digitale non è uno scenario virtuale, finto o fantastico ma un reale spazio fatto di persone, dei loro bisogni, delle loro intenzioni, delle loro domande umane e anche di fede. Forse esagero, ma chiudersi a questo scenario equivale a commettere una sorta di “peccato di omissione”. Oggi l’umanità è mediale. Non possiamo vivere facendo finta che i media non esistono e che non sono importanti per le persone. I media (tutti i media, la stessa parola che usiamo per parlare e scrivere) sono un bisogno per l’uomo e la società (quindi per la Chiesa). Chi non li sente importanti è perché ancora non ha avuto modo di farne esperienza, di conoscerli direttamente. Quindi, se l’umanità è mediale anche la Chiesa è mediale e se la Chiesa è mediale è chiamata a realizzare una “pastorale mediale”.

13) Quali sono le sfide che la Chiesa nell’era digitale deve affrontare?

Lo scenario digitale, innanzitutto, non è esente da rischi. Come ogni cosa che ha a che fare con l’umanità, i social network riflettono opportunità positive e negative. La prima sfida credo sia quella di non cadere nella tentazione di mostrare il Vangelo, l’esperienza ecclesiale come un prodotto o un consenso della comunicazione. Alla Chiesa servono nuovi modelli comunicativi per far si che l’esperienza ecclesiale non venga distorta nel suo significato. L’unico modello valido è l’esperienza comunicativa di Gesù, Lui più che informare narrava i contenuti. La seconda sfida è che la Chiesa non deve limitarsi solo a un uso intelligente dei social network ma è chiamata a rifondarli facendo sì che essi diventino esperienze di relazione vera, innestando al loro interno un nuovo senso di gratuità, di intimità e di fedeltà. Si tratta di riuscire a sapere armonizzare l’esperienza online e quella offline per far si che l’esperienza mediale sia il più possibile autentica.

14) In che modo una diocesi può mettere in piedi azioni pastorali digitali? Nello scenario dei social in che modo può far sentire la sua presenza?

Per agire pastoralmente nei social network innanzitutto occorre convincersi che i social non sono mezzi, ma riflessi, proiezioni di un qualcosa dell’umano, così come sottolineano Ceretti e Padula con il loro testo Umanità mediale. Fare pastorale digitale non è sinonimo di potenziamento comunicativo ma realizzare una vera e propria azione mediale perchè con i media si costruiscono infatti, processi di comunicazione in cui a essere protagonisti sono le intenzioni e i desideri degli uomini. In secondo luogo ricordiamoci che siamo di fronte a un’azione che richiede competenza, strategia e non improvvisazioneCome può una Diocesi rendere chiara ed efficace la sua presenza nel digitale? Credo che diventerà possibile quando: comprenderemo il giusto legame uomo-media. Oggi non si può gestire la comunicazione senza una competenza mediale ed educativa e senza precise strategie; che il contesto attuale obbliga a progettare ogni azione pastorale, soprattutto quella della comunicazione; che l’attore principale, per questa svolta mediale, è l’Ufficio diocesano per le comunicazioni. Papa Francesco, nel messaggio per la L Giornata mondiale delle comunicazioni, ha ricordato che i media sono un dono di Dio e che la comunicazione della Chiesa dipenderà anche dalla volontà e dalla capacità di saper accogliere tale dono per farne un’occasione di prossimità.

 

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Intervista di Angela Altomare per il numero 8 (9 Marzo 2017) del settimanale di informazione dell’Arcidiocesi Cosenza-Bisignano. WWW.paroladivita.org 

 

 

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