Il Libro / La CHIESA MEDIALE. Sfide, strutture, prassi per la comunicazione digitale

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Perché parlare di una Chiesa mediale? La risposta sembrerebbe quasi scontata, anche se – nonostante gli appelli di papa Francesco – ancora in troppi «esigono» una Chiesa «al suo posto», tra altari e sagrestie. E invece in una società impastata di comunicazione la Chiesa, missionaria per natura, non può stare a guardare!

La presentazione ufficiale del libro (Marsala 30 Maggio 2017)

Il libro “La Chiesa Mediale. Sfide, strutture, prassi per la comunicazione digitale” per Don Ivan Maffeis, direttore dell’Ufficio nazionale per le Comunicazioni della CEI, è «uno stimolo alla riflessione e alla progettazione dell’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali, quale luogo di coordinamento, comunicazione e dialogo. L’attività dell’Ufficio – che in queste pagine è ben strutturata – non è orientata semplicemente a migliorare la trasmissione d’iniziative e appuntamenti diocesani e locali; essa favorisce, piuttosto, una fruttuosa condivisione di materiali, proposte formative e buone prassi tra le comunità e i gruppi ecclesiali, mettendo in rete energie e risorse». Per Massimiliano Padula, presidente nazionale AIART, il libro «è certamente destinato ad addetti ai lavori. Ma non solo. Si rivolge a tutti colore che credono che la comunicazione sia essenza stessa della vita, opportunità di condivisione fraterna, ascolto appassionato, silenzio testimoniante e prossimità misericordiosa».

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-> Perchè la Chiesa è mediale <-

Con il processo di digitalizzazione si è venuta a consolidare quella che Ruggero Eugeni definisce la “condizione postmediale”. Lo studioso ritiene che in questi ultimi due decenni il contesto comunicativo risulta caratterizzato da una sorta di “svolta mediale”. Oggi

«non è più possibile stabilire con chiarezza cosa è mediale e cosa non lo è; né si può definire quando entriamo in una situazione mediale e quando ne usciamo. I media sono ovunque. Noi stessi siamo i media» (Eugeni, La condizione postmediale).

Ma che cosa sono questi media? Più che meri strumenti sono “riflessi dell’umano”. Quando parliamo di media in un certo senso stiamo parlando di noi. Quindi, più che definire il concetto di “media”, occorre comprendere la natura del legame sociale “uomo-media”, rendersi conto che «non sono i media a mutare l’uomo, ma è l’uomo a intervenire in essi, ad “adoperarli” come proprio riflesso per qualsiasi istanza e bisogno». Di conseguenza – così come sostengono Ceretti e Padula – i media sono “proiezioni dell’umano”, cioè progetti dell’uomo, nel senso che è l’uomo a proiettarsi in essi.

Pertanto, se è «l’umanità a proiettare se stessa nei media» bisogna ritenere che “i media siamo noi” (Ceretti-Padula, Umanità mediale). E se l’uomo è mediale, anche la Chiesa e la sua intera azione pastorale è divenuta mediale.

99b-9-la-chiesa-mediale-2Le pagine di questo libro si propongono, allora, come una riflessione teologico-pastorale disponibile per tutti coloro che svolgono un servizio diocesano negli ambiti della comunicazione. Sono convinto che, per la Chiesa, la svolta comunicativa dipenda dall’intuizione interpretativa “dell’umanità mediale”, prospettiva ideata dai professori Filippo Ceretti e Massimiliano Padula che non solo ha motivato la mia ricerca, ma ha mostrato chiaramente che: 1) una volta compreso il giusto legame “uomo-media” diventerà possibile attivare una vera pastorale nello scenario digitale; 2) oggi non si può gestire la comunicazione senza una competenza mediale ed educativa e senza precise strategie; 3) il contesto attuale obbliga a progettare ogni azione pastorale, soprattutto quella della comunicazione; 4) l’attore principale, per questa svolta mediale, è l’Ufficio diocesano per le comunicazioni.

Un organismo che per il Direttorio per le Comunicazioni sociali va assolutamente costituito, formalmente ed effettivamente, in ogni diocesi per evitare il rischio che l’azione comunicativa diventi non ecclesiale e poco efficace.

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-> Perché anche alla Chiesa serve una cultura digitale <-

La “Chiesa mediale” sa bene che strumenti come il sito Web o la posta elettronica sono figli di una condizione di Rete che è ormai sorpassata. Oggi Internet veste le logiche del Web 2.0 completamente diverso dal precedente: non più staticità, ma approccio dinamico; non più fruibilità passiva, ma interazione.

Questa è l’era dei social network, attraverso i quali la Rete è diventata luogo di condivisione, di interazione e di contenuti creati dagli utenti.

I social network permettono di compiere azioni mediali, cioè attivare relazioni reali con persone, creare preziose occasioni per testimoniare la buona notizia, abitare ampi scenari in cui esprimere la bellezza della fede. Le comunità ecclesiali per comunicare in maniera efficace devono procurarsi una propria culturale digitale.

-> In cosa consiste la novità mediale <-

Prima dell’avvento di Facebook, i social media erano strumenti per la gestione di relazioni sviluppate in un mondo virtuale in cui si viveva una “seconda vita”; con Facebook i social sono diventati opportunità attraverso i quali gli utenti rimediano e rimodellano le loro relazioni reali.

La Chiesa è chiamata ad agire anche nella Rete proprio perché il Web – oggi strutturato con social media – non è un mondo virtuale, parallelo a quello reale, ma «parte della realtà quotidiana di molte persone, frutto dell’interazione umana».

La vera sfida per la Chiesa consiste nel cominciare a essere «meno “comunità virtuale” e sempre più “social network”, meno nicchia e sempre più minoranza creativa, meno strumento di una trasmissione e sempre più luogo di incontro». Aprirsi a questa “svolta mediale”, abbandonare una modalità di presenza a vetrina per assumere la logica del contatto. «La Rete e la Chiesa sono due realtà destinate a incontrarsi» e le dinamiche pastorali possono – anzi devono – intrecciarsi con gli scenari propri dei social network perché la Chiesa è chiamata a rendersi presente «lì dove l’uomo sviluppa la sua capacità di conoscenza e di relazione».

Per tali motivi l’Ufficio diocesano dovrà compiere lo sforzo di imparare i linguaggi e le forme di comunicazione digitale per entrare in sintonia con le dinamiche dei social media

ed evitare così il rischio di rendere l’evangelizzazione e l’immagine stessa della Chiesa irrilevanti agli occhi di una società dove sembra che, per esserci e agire, occorre possedere anche una chiara identità digitale.

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-> Ma cos è questa “pastorale digitale” <-

Innanzitutto siamo di fronte a un’azione che richiede competenza, strategia e non improvvisazione; non basta, infatti, aprire una pagina Facebook (o un qualsiasi profilo social) e riempirla di link, bisogna prima progettare il cosa, il come e il perché della comunicazione.

È uno sforzo teologico-pastorale che ogni Ufficio diocesano per le comunicazioni deve incominciare a fare.

In secondo luogo occorre superare la convinzione che i social siano soltanto uno “strumento” per trasmettere informazioni o una sorta di ambone da cui predicare il Vangelo. Cambiare, quindi, prospettiva perché agire nel digitale non vuol dire compiere una sorta di «potenziamento comunicativo», ma realizzare una vera e propria azione mediale. Pertanto, più che fare “pastorale digitale”, la Chiesa è chiamata a realizzare una “pastorale mediale” perché, proprio come l’umanità, anche la Chiesa è mediale.

don Alessandro Palermo (amandil5)

Cfr. Alessandro Palermo, La Chiesa mediale. Sfide, strutture, prassi per la comunicazione digitale, Paoline, Milano 2017.

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La presentazione ufficiale del libro (Marsala, 30 Maggio 2017)

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