Per essere luce del mondo occorre rendersi presenti nei social network

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Incoraggiato da Francesco Ognibene, giornalista di Avvenire, vi condivido qualcosa sul “perché” – secondo me – vale la pena rendersi presenti nel Web e in particolare nei social media.

La mia “presenza comunicativa” in Rete comincia nel 2007, quando decisi di creare la pagina web della mia parrocchia. Mi resi conto che era necessario attivare dei canali informativi alternativi ai classici manifesti da bacheca e che non bastava stampare il manifesto e “rinchiuderlo” dentro la bacheca della chiesa, ma che bisognava condividerlo ai tanti “naviganti” del Web. La Rete ci permette di condividere con tutti le bellezze artistiche e le iniziative pastorali e culturali. In un certo senso, dedicare il proprio tempo a informare e a condividere contenuti online significa dare forma a ciò che leggiamo in Matteo 5,14-16:

voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini”.

I media penso siano preziose occasioni che ci permettono di condividere, di “mettere sul moggio”, le tanti “luci” che possediamo e che incontriamo lungo la nostra vita affinché divengano a loro volta opportunità per diffondere il bene.

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Ma la vera novità accade con i social network. Essi hanno dato un volto completamente nuovo alla Rete, la quale non è più soltanto uno strumento di trasmissione ma un’occasione di relazione reale. Oggi “è impossibile immaginare l’esistenza della famiglia umana senza di essi” (Caritas in veritate 73). E con l’avvento dei social network “la responsabilità dell’annuncio aumenta e si fa più impellente e reclama un impegno più motivato ed efficace”. I sacerdoti “sono chiamati a occuparsene pastoralmente” e personalmente (Benedetto XVI, Messaggio per la XVI Giornata delle comunicazioni).

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Ecco perché la mia presenza nello scenario digitale la considero come un qualcosa che “non posso non fare”. 1) Non si può non comunicare. Sono convinto – lo siamo tutti e non ce ne rendiamo conto – di essere mediale.

Il mio profilo social non è un qualcosa di “diverso” da me, ma è il “riflesso” della mia storia, delle mie espressioni e delle mie intenzioni di comunicare qualcosa agli altri.

2) Si è sacerdoti fondamentalmente per comunicare il Vangelo e per testimoniarlo ovunque e in ogni modo. Nell’era delle Reti sociali questi compiti si siano intensificati. Con il mio smartphone, una volta entrato nei social network, mi ritrovo realmente più di 2600 persone a cui devo annunciare e testimoniare la Buona notizia. Farlo, però, non significa semplicemente inserire contenuti religiosi ma comunicare scelte, preferenze, giudizi coerenti con il Vangelo, anche quando di esso non si parla in forma esplicita.

Credo che nel ministero sacerdotale, la comunicazione digitale è una categoria importante, anzi necessaria, perché concorre alla realizzazione della comunione. A questo, infatti, ci servono i social network. Non possiamo delegare l’annuncio nei media digitali ad altri, ma dobbiamo impegnarci personalmente affinché, anche in questi scenari, venga fatto un buon servizio alla Parola.

don Alessandro Palermo (amandil5)

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La mia riflessione la trovate pubblicata su Avvenire del Martedì 11 Aprile 2017, a pagina 18 per la rubrica PortaParola.

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